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Una promessa - Recensione

02/10/2014 | Recensioni |
Una promessa - Recensione

Una promessa d’amore. Segreta, sussurrata, eterna, inviolabile.
L’ultimo film di Patrice Leconte è un’intensa e struggente storia d’amore fondata su una promessa.
La vicenda inizia nel 1912 in Germania. Friedrich, un giovane ingegnere di origini umili viene assunto come impiegato in un’acciaieria. Colpito dalla sua preparazione ed efficienza, il proprietario, Karl Hoffmeister, lo promuove a segretario personale.  Poco tempo dopo, a causa dell’età avanzata e della salute precaria il proprietario inizia a lavorare da casa facendo trasferire anche il giovane segretario. Lì incontra la moglie del datore di lavoro, Lotte, una donna bella e molto più giovane. Con il passare del tempo, Friedrich s’innamora appassionatamente di Lotte ma non osa rivelare i suoi sentimenti. Nella casa s’insinua così un intrigo romantico fatto di sguardi e silenzi, senza che trapeli mai un gesto. Quando il proprietario annuncia la sua intenzione di mandare il giovane segretario in Messico per gestire le sue miniere, la reazione scioccata della moglie rivela a Friedrich che anche lei è segretamente innamorata.  Al momento della partenza, Lotte fa a Friedrich una promessa: al suo ritorno, dopo due anni trascorsi in Messico, sarà sua. Separati dall’oceano, i due si scambiano lettere appassionate attendendo di rivedersi. Ma, alla vigilia del ritorno dell’uomo in Germania, scoppia la prima guerra mondiale. Tutte le linee marittime fra Europa e Sudamerica vengono sospese, come i servizi postali. Otto anni dopo, Friedrich torna in patria e dalla donna. Il loro amore sarà ancora vivo?  
Una promessa è un melodramma classico ma allo stesso tempo moderno su un amore impossibile messo alla dura prova da un matrimonio, da una separazione forzata, da una guerra, dallo scorrere del tempo. 
Solo la delicata e intelligente mano di Leconte poteva mettere mano a un romanzo importante come “Il viaggio nel passato” di Stefan Zweig e tessere per il grande schermo un ricamo finissimo (con il tocco speciale di un finale aperto, meno cupo e disilluso rispetto al libro). Con l’ausilio di Jérôme Tonnerre, amico e collaboratore alla sceneggiatura del regista francese, Leconte scandaglia a fondo il significato della parola “desiderio” prima che quella di “amore”. Un desiderio così forte che i due protagonisti non possono esprimere, chiusi in un’opprimente interno borghese, con un capofamiglia  dal cuore (!) malato ma capace di intuire quello che sta accadendo sotto i suoi occhi.
Una storia di attesa amorosa (spesso più bella dell’amore consumato) che sussurra, suggerisce, evitando di far concretizzare la passione attraverso scene bellissime in cui vengono mostrati piccoli gesti senza bisogno di troppe parole (una per tutte, il giovane innamorato che si inebria del profumo della donna soltanto annusando i tasti del pianoforte). Un sentimento forte diluito nel  tempo, nascosto nei meandri dell’animo, tra le pieghe di una pesante sottogonna o nel tocco impercettibile di uno sfiorarsi furtivo, dietro uno sguardo che indugia qualche secondo di troppo sull’altro.
Perfetta la scelta dei tre protagonisti, tre attori inglesi (questo è il primo film girato in lingua inglese da Leconte) di grande fascino come Alan Rickman, Rebecca Hall e Richard Madden, bravissimi nel dare corpo a tre anime prigioniere di quella che può essere definita una “follia”, dichiarare il proprio amore con la promessa di viverlo solo successivamente.
Un film su un sentimento che non cade però nelle trappole del sentimentalismo e proprio per questo di grande modernità. Come in suoi precedenti gioiellini (un titolo su tutti La ragazza sul ponte) ancora una volta il maestro francese obbliga i suoi personaggi a celare le emozioni, trattenere le passioni e sottoporsi al crudele gioco del desiderio sospeso.
“Incalzante, intenso, sensuale”, sono i tre aggettivi usati dal regista nelle sue note per definire in breve il suo film. Un’opera dal ritmo piano, ma allo stesso tempo vertiginoso, definito da una messa in scena perfetta dove tutto (ambientazioni, luci, costumi, musiche) contribuisce a restituire l’intensità di una vibrazione segreta e taciuta ma potentissima. Un film molto sensuale perché, sono parole del regista, “parla del desiderio di chi ama”. “Amare senza sapere se si sarà ricambiati, sognare senza poter esprimere il proprio sogno, filmare il desiderio” perché questa è l’aspirazione, il fine dichiarato del cinema del regista francese, insuperabile quando si tratta di evocare e lasciare quasi tutto all’immaginazione.
Perché questa è la quintessenza vera di un’arte che ha da sempre lo scopo di alimentare sogni e perché sono pochi i cineasti capaci, come Leconte, di fare ancora un cinema che restituisca la voglia di sognare.

Elena Bartoni
 

 


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